L’Italia possiede un patrimonio archeologico, artistico e paesaggistico rilevante e inestimabile. Ma non ha le risorse economiche e la volontà politica di riuscire pienamente a tutelarlo. Non si tratta solo dei crolli di Pompei o dei tanti monumenti abbandonati tra le erbacce, ma anche delle migliaia di reperti che giacciono non catalogati negli scantinati di molte amministrazioni, di musei sempre più lontani dal proprio pubblico, di sale cinematografiche che chiudono una dopo l’altra, di interi pezzi di territorio sventrati con deroghe alle norme sul paesaggio, di settori come la danza e il teatro definanziati e senza rotta.
Manca, questo è il punto, una strategia verticale per ciascun settore della cultura e, assieme a questa, una strategia orizzontale che guardi a cultura e creatività in una chiave sistemica, integrata come ci indica l’Unione Europea, capace di correlare in una visione unica i diversi settori e ragionare in termini di filiera, dove la cultura è punto di partenza o di arrivo di processi complessi e di una molteplicità di attori, attività industriali, percorsi cognitivi.
Manca, più in generale, un progetto nazionale di conservazione, tutela e valorizzazione. Questa difficoltà si rispecchia ed è figlia di una mancanza di visione sul rapporto tra cultura, paesaggio e futuro, quindi di un progetto pubblico sul futuro delle città e dei territori che passi attraverso il riuso – o, come si dirà più avanti, la traduzione – dei nostri beni e spazi, e attraverso lo sviluppo di nuova arte, quindi la creazione di spazi che promuovano la creatività e l’innovazione. Insomma un’idea di contemporaneo.
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